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Interviste




l’uomo di fronte alla morte

A cura della Segreteria FENIOF

Abbiamo voluto intervistare il Dott. Paolo Pozzati, psicologo esperto di problematiche del lutto, che è stato individuato da FENIOF ed incaricato di svolgere docenze nell’ambito delle attività formative che la Federazione ha svolto e svolge sul territorio della regione Emilia Romagna.

Ci ha infatti incuriosito la specificità della specializzazione del Dott. Pozzati, e a tal proposito abbiamo volutamente indagare sulle motivazioni che l’hanno portato ad appassionarsi a problematiche per così dire “particolari” quali la morte e l’approccio a quest’ultima.

Dott. Pozzati, da dove nasce la Sua passione verso le problematiche del lutto?

Mi interesso del rapporto dell’uomo con la morte da una decina d’anni: dapprima mi sono avvicinato attraverso gli stimoli offertimi dalla mia attività di psicoterapeuta, quali la fobia e l’angoscia della morte, l’ipocondria, gli attacchi di panico, la depressione e l’elaborazione del lutto.

Successivamente ho avvertito l’esigenza di approfondire tale argomento attraverso lo studio di culture diverse da quella occidentale, come quella indiana, cinese, musulmana e degli antichi egizi, per tentare di capire come uomini diversi, appartenenti a culture diverse e tuttavia con gli stessi bisogni e le stesse paure, abbiano dato risposta alle questioni che attanagliano l’uomo fin dai suoi albori, sia sul piano religioso che su quello filosofico in genere.

Partendo dal presupposto che sia utile per la vita non dimenticare che un giorno dovremo morire e che quel giorno potrebbe essere anche oggi stesso, ritengo che ci siano categorie di persone, che grazie alla loro sensibilità, alle loro esperienze, alla loro professione siano in questo avvantaggiate.

Tra queste categorie rientrano di diritto gli impresari funebri e relativi operatori, non crede?

Certamente, è per tale ragione che ho accettato con piacere di collaborare con Fe.N.I.O.F. nella formazione degli operatori funerari, essendo per me una occasione potermi confrontare direttamente con chi, nel quotidiano, con la morte ci si “sporca” le mani. In genere l’uomo cerca di scotomizzare (negare, nascondere ai propri occhi) la morte ma chi è sollecitato ad entrarvi frequentemente in rapporto, come medici, infermieri, agenti di polizia ed operatori funerari, ha a disposizione una grande opportunità di crescita e di maturazione, a patto che vengano rispettate alcune condizioni basilari.

Giusto, è altresì vero che gli uomini non sono tutti uguali e, in virtù di tali differenze, l’approccio con la morte viene vissuto in modo variegato. Simili differenze, per Sua esperienza, sono individuabili anche tra gli operatori funebri?

Penso che ci siano tre categorie di persone tra questi professionisti: quelli “forti” ma troppo insensibili, che resistono; quelli “deboli” o troppo sensibili che desistono; e infine coloro che, attraversando le difficoltà a proprie spese, hanno dovuto trovare da soli una ‘giusta’ dimensione/via.

Il così detto “giusto mezzo”?

Si, e per questi motivi ho ritenuto utile un corso di formazione per operatori funerari e l’ho strutturato in modo da offrire ai partecipanti quegli strumenti che reputo indispensabili per potersi orientare in questo mondo.

Pertanto le Sue docenze sono volte a fornire anche suggerimenti nei rapporti con i dolenti? Come ha impostato il programma formativo?

Innanzi tutto una panoramica del rapporto dell’uomo con la morte fin dalla preistoria, poi la conoscenza delle reazioni dell’uomo di fronte alla morte di una persona cara, la cosiddetta elaborazione del lutto, l’importanza delle emozioni, della loro accettazione, legittimazione ed espressione. Infine alcune nozioni sulla comunicazione non verbale, per affinare la capacità di ascoltare gli utenti, la propria sensibilità, senza esserne travolti.

Consigli “spiccioli” per gli operatori funebri che possono aiutarli a migliorare la professionalità del servizio ed i rapporti con i dolenti? In estrema sintesi?

Bè, la sintesi su questo aspetto della materia è impossibile. Solo attraverso un percorso formativo strutturato si può arrivare a scorgere risposte alle diverse problematiche e poter suggerire comportamenti atti a migliorare il servizio funebre. L’aspetto più importante è conoscersi bene, quindi, sapersi ascoltare, e questo ascolto può essere coltivato e perfezionato attraverso adeguati strumenti. Bisogna monitorare continuamente il proprio disagio, conoscerne il linguaggio, i primi segnali del nostro corpo e dei nostri pensieri, e possedere la conoscenza di come prevenirlo e di come affrontarlo. Solo in questo modo è possibile trasformare l’esperienza lavorativa da fonte di stress, quando non di burn-out, in occasione di sviluppo e maturazione.

Quindi nell’ambito delle Sue docenze Lei ha sviluppato anche questi aspetti. I corsisti hanno gradito i consigli e le informazioni ricevute?

Durante la mia lezione dal titolo “L’uomo di fronte alla morte” ( che ho tenuto giovedì 29 settembre nell’ambito del corso di formazione FENIOF per operatori funerari), ho potuto constatare con soddisfazione che i partecipanti al corso hanno capito che non si trattava solamente di fare un seminario noioso ed obbligatorio ma di una vera opportunità per acquisire strumenti, che, al di là del lavoro, servono per la vita.