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IL TEMA




Corsi e ricorsi storici


Ogni medaglia ha il suo rovescio! Per similitudine ogni azione, ogni situazione, ogni scelta di vita che quotidianamente si compie ha i suoi “pro” e “contro” che pesano su piatti diversi della bilancia dei “costi-benefici” e dunque degli equilibri! Fin qui il ragionamento appare scontato e banale. Quanto però lo assimiliamo all’organizzazione della vita sociale ed economica di una comunità, piccola o grande che sia, e la poniamo in relazione ad altre realtà insistenti sullo stesso territorio nazionale, si impone una analisi più profonda e seria.

Un capitolo della nostra storia racconta di una Italia suddivisa in 14 piccole realtà. Ricordo tra questi il Regno delle Due Sicilie, il Regno di Sardegna, il Ducato di Parma e Piacenza, il Granducato di Modena, etc.Così si era stabilito con il Congresso di Vienna. Correva l’anno 1814.

Uno dei problemi più seri, a quell’epoca, era rappresentato dalla incomunicabilità tra gli abitanti degli Stati del Nord (nordici) e quelli del Sud (sudici – per dirla alla maniera di qualche comico nostrano), per via delle diverse lingue e dei diversi costumi ed usi, conseguenza inevitabile dell’impronta che le diverse dinastie regnanti avevano lasciato in quelle terre. Esistevano addirittura dazi sulle merci in transito da una provincia all’altra. Quanta fatica, quante sofferenze e quanti fulgidi esempi di patriottismo si raccontano con la storia della Carboneria, prima, e lo sbarco dei mille, poi, per liberarci dal giogo straniero. Finchè l’Italia fu fatta (e gli italiani, anche!) come Giuseppe Garibaldi l’eroe dei due mondi aveva auspicato e realizzato con la sua strepitosa impresa.

La storia si ripresenta con i suoi “corsi e ricorsi” (Giovanbattista Vico). Avremmo perciò, dovuto aspettarci un “ricorso”: quello della frammentazione socio-culturale tra le varie regioni d’Italia, con conseguente e preoccupante divario cresciuto in maniera esponenziale tra Nord e Sud cresciuto in maniera esponenziale. Da quell’evento storico che fu il Congresso di Vienna, sono trascorsi circa due secoli. All’improvviso ci inventiamo il Federalismo e la Devolution. Come dire: “Signori, facciamo il percorso inverso rispetto alla voglia di progresso legittimamente anelato dal Popolo, e complichiamoci la vita”. Anzi, facciamo un tuffo più profondo nella storia del passato e rispolveriamo il “carroccio”!

Ma veniamo ad oggi. Il settore delle onoranze funebri, molto frammentato e per di più ignorato dalla classe dirigente, spesso avverte il bisogno di imporsi all’attenzione generale per reclamare il giusto ruolo sociale che gli compete.

In conseguenza di ciò, molte Regioni, di solito le più sapienti, emanano leggi e regolamenti che sanno di sapore antico, di proiezione al…passato. Queste leggi e regolamenti hanno valore legale solo nelle Regioni promulganti. Succede quindi che quel che è valido in Lombardia non lo è in Toscana, e viceversa; quel che è valido in Emilia Romagna non lo è in Puglia, e viceversa. Faccio riferimento ad una delle ultime delibere della Regione Lombardia in cui praticamente dichiarano inutili molte cose che in altri luoghi sono ancora obbligatorie. Esempio: è stata dichiarata inutile la presenza degli ispettori sanitari alle operazioni di esumazione ed estumulazione che ciclicamente si susseguono nei Cimiteri, così come inutile è divenuta la verifica annuale della idoneità delle autofunebri. Nulla da eccepire sulla legittimità e sull’indubbio snellimento operativo che tali delibere comportano, ma corriamo il rischio che il prossimo “ricorso storico” potrebbe essere la Torre di Babele. Perché? Beh, perché la “lingua” lombarda non sarà comprensibile ai liguri, e così via…L’inutilità di alcuni obblighi, rimane Obbligo in tutte le altre regioni. Nella fattispecie l’autofunebre lombarda verrà multata altrove. O no? Non sarebbe meglio “parlare” la stessa lingua? E perché la Regione Puglia (in cui operiamo) non “parla” affatto? Perché il Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria tarda ad essere licenziato?

Pur non sapendo quanto condivisibile possa essere la nostra analisi, Vi ringraziamo per averci letto.

O.F. L’Umanità srl

Abbiamo ritenuto di pubblicare integralmente la lettera che l’Impresa L’Umanità di Taranto, nostra associata da tanti anni, ha inviato alla Segreteria Feniof chiedendo di esprimerci circa la condivisione dei contenuti ed acconsentendo altresì alla sua divulgazione. I temi toccati sono di estrema attualità e meritano una articolata argomentazione.

È certo che, come più volte abbiamo denunciato, l’emanazione di normative regionali recanti diverse disposizioni in materia di polizia mortuaria espone al rischio di trovarsi davanti a forti diffi coltà sul fronte operativo. I primi effetti di questa “differenza di linguaggio” sono ogni giorno evidenti agli operatori che, negli ultimi mesi, hanno avuto occasione di scontrarsi con la burocrazia di Lombardia e di Emilia Romagna, le prime ad avere una compiuta e vigente normativa regionale in materia funebre e cimiteriale con le conseguenti novità sul fronte delle disposizioni operative, dei requisiti degli operatori, della modulistica.

È evidente che queste due regioni, nelle quali, complessivamente, si verificano in media più di 130.000 decessi all’anno, sono portate a doversi relazionare spesso con realtà diverse riscontrando differenze normative rispetto a quelle che, pur nel rispetto delle disposizioni rese dai regolamenti comunali, si riferiscono ancora a quanto previsto dal “vecchio” (che, per rispetto, preferirei defi nire “storico”) dpr 285/90.

Ma oltre alle normative regionali di Lombardia ed Emilia Romagna, in assenza di una legge quadro nazionale di riforma, stiamo assistendo anche ad altre forme di legiferazione “minore” (mi si passi il termine), ovvero all’approvazione di Deliberazioni di Giunta Regionale, Circolari e Determinazioni varie che, senza entrare nel merito della materia funebre nella sua totalità, intervengono su altri residuali, ma non poco importanti, aspetti della stessa. È l’esempio di Liguria, Piemonte, Umbria (ma anche di altre regioni) che hanno disposto “snellimenti” nell’ambito di alcune procedure operative quali, ad esempio, la non più necessaria compresenza dell’Asl nelle operazioni di esumazione e di estumulazione, la superfl ua vidimazione del libretto di idoneità del carro funebre, l’annullamento della necessità della puntura conservativa nei trasporti funebri. Altre regioni (cinque in tutto) si sono invece espresse in merito alla possibilità, secondo quanto disposto dalla legge 130/01, di consentire la pratica dell’affi damento familiare e della dispersione in natura delle ceneri dei defunti.

Da questo confuso panorama normativo si evince, quindi, una esigenza evidente: la necessità di una legislazione in materia funebre e cimiteriale aggiornata ed attuale che, bene o male, tutte le regioni stanno rilevando e che, con diverse motivazioni e determinazioni, stanno portando avanti.

Abbiamo più volte rilevato la malcelata intenzione di alcune pubbliche amministrazioni di non voler emanare proprie leggi regionali in attesa di verifi care i contenuti di una disposizione quadro di respiro nazionale sullo stato dell’arte della quale vi abbiamo debitamente informati in questi mesi. Pur non volendo essere pessimisti, ma sulla scorta delle passate esperienze, non crediamo che le tempistiche di approvazione di un testo completo quale avrebbe potuto essere il ddl S3310 possa avvenire in tempi brevi. È pertanto lecito attendersi dalle Regioni, nei limiti di quanto concesso loro dalla vigente normativa, futuri interventi locali in materia di polizia mortuaria volti ad aggiornare quanto disposto dal dpr 285/90.

Confidiamo che le regioni (e, a cascata, anche i Comuni) sappiano pronunciarsi seguendo gli indirizzi e le posizioni di chi si è già espresso precedentemente; solo così sarà possibile, in una ottica di autoregolamentazione, uniformare i comportamenti e consentire ai cittadini di fruire di diritti diversamente negati a seconda del territorio. In assenza di una legge quadro di riferimento riteniamo sia il comportamento più saggio anche se talvolta assurdi pregiudizi, connessi anche ai diversi colori politici, non fanno che complicare tali intendimenti. E pensare che, sulla scorta di quanto è stato defi nito negli ultimi 16 anni (ovvero dal lontano 1990, quando fu approvato il dpr 285), gli elementi per approntare un testo aggiornato e recepente pratiche che vadano incontro alle esigenze e ai diritti di operatori e cittadini ci sarebbero tutti. Mi sia concesso dire che “dove non agisce lo Stato, agiscano le Regioni!”, purché ciò avvenga con intelligenza e senza perdere di vista la necessità di regole uniformi e coerenti con i processi di evoluzione e di sviluppo professionale del settore.