Home Page

Catalogo
numeri 2006


Catalogo
numeri 2005


Catalogo
numeri 2004


Catalogo
numeri 2003


Catalogo
numeri 2002


Adesioni soci

Inserzionisti

IL TEMA




la morte si fa bella


In mostra a Milano l’opera immorale e illecita di Andres Serrano

In occasione della seconda edizione della Giornata del Contemporaneo (14 ottobre 2006), promossa dall’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici, il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano celebra l’estro creativo di un grande interprete dei nostri tempi, Andres Serrano, con un duplice appuntamento: la mostra “Il dito nella piaga”, una selezione di alcune delle sue più significative fotografie degli ultimi vent’anni, e la mostra “The Morgue”, dieci lavori inediti dell’artista tratti dalla controversa omonima serie fotografica del 1992 e rappresentanti cadaveri ripresi in primissimo piano, particolari di corpi, una mano, un torso, inseriti in un contesto talmente neutro da riuscire a distrarre l’attenzione dal soggetto ritratto per elevarla ad una considerazione puramente estetica. Immagini macabre e scioccanti a lungo tenute nascoste per volere dello stesso Serrano e che ora vengono presentate per la prima volta, in esclusiva assoluta.

”Per me l’arte ha un obbligo morale e spirituale che rifiuta qualunque tipo di finzione e parla direttamente all’anima”.

Fotografo irriverente e maledetto, Andres Serrano mostra da sempre i temi più controversi e polemici del mondo in cui viviamo, scavando nelle pieghe più scure delle umanità più irrazionali e sgradevoli, con la costante ricerca della bellezza, anche nelle situazioni più estreme: il fanatismo, la corporeità, la xenofobia, la malattia e la morte sono stati infatti oggetto della sua meticolosa attenzione.

Nato a New York nel 1950, cresciuto con il mito di Bob Dylan (“Lui sì che era un ribelle totale), Serrano raggiunge la notorietà nel maggio 1989, quando il senatore americano Alphonse D’Amato stracciò al Senato una immagine di “Piss Christ”, un crocifisso immerso nell’urina, gesto che, oltre a consacrare Andres Serrano come artista maledetto, apriva un dibattito nazionale sulla libertà di espressione attraverso l’arte.

Eppure quest’uomo amante della vita in ogni suo aspetto si definisce un “artista religioso del passato con idee contemporanee”, e non ha mai cercato di distruggere le icone religiose, bensì di crearne di nuove.

“Ho vissuto ai margini della società per molto tempo e mi sento ancora estraneo alla società convenzionale. Ho usato droghe e vissuto al limite, ma sono diventato un elemento socialmente recuperabile solo nel momento in cui ho iniziato ad esprimermi attraverso la mia arte e a venderla. Sentivo che il mio destino era di essere un artista. È bello essere un ribelle ed essere arrabbiato”.

Ciò che sembra una forma di provocazione si manifesta come una vocazione: quella di trattare temi e problematiche che ci riguardano come esseri umani attraverso immagini che si distinguono, inoltre, per la loro bellezza. La bellezza è una componente essenziale del lavoro di Serrano. Attraverso di essa l’artista intensifica la tensione che seduce lo spettatore con il fascino proibito dei temi tabù. Di fatto, Serrano ha confessato che il suo obiettivo come artista è sempre stato quello della bellezza: “Credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati meno insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia”.

Ma si può parlare di arte nella morte?

“Assolutamente. La morte è stata una grande fonte di ispirazione per gli artisti di tutti i tempi, fin dall’antichità. È qualcosa di naturale, anche se noi umani non ne vogliamo mai parlare”.

Lei ha affermato: “Ho fotografato la morte con distacco clinico” Cosa voleva dire?

“Ho parlato del distacco clinico come di un requisito professionale necessario per lavorare in un obitorio. in certe situazioni devi diventare immune a immagini e a odori che in altre circostanze potrebbero voltarti lo stomaco. L’idea è quella di crearti uno spazio mentale di conforto che ti permetta di lavorare in quelle condizioni. Allora trovi la bellezza anche nella morte. Quando ero in obitorio ho sentito di far parte di una piccola famiglia di dottori, assistenti e di altri professionisti che lavorano ogni giorno con la morte. Mi rendo conto tuttavia che l’animo umano, per quanto professionale, non accetterà mai l’idea che un giorno tutto possa finire. Un giorno una dottoressa che lavorava in obitorio da più di un anno, in apparenza senza alcun problema, entrò nel suo studio e sul tavolo per l’autopsia vide una persona che conosceva. Rimase così sconvolta che non tornò più al suo lavoro”.

Artisticamente sospeso tra tradizione e innovazione, l’efficacia delle sue immagini va ricercata anche tra i meccanismi della pubblicità. I colori accesi, la precisione dei titoli, l’uso di un linguaggio breve, ma sempre eloquente, sono tecniche di lavoro che Serrano ha appreso in una agenzia di pubblicità in cui lavorè a vent’anni e che oggi gli permettono di esprimersi in forma diretta, senza veli né ipocrisie.

I dettagli dei suoi scatti sono curati in maniera maniacale, i colori purissimi. Ma non ci si trova di fronte a un falso perché i corpi ritratti per l’ultima volta dall’obiettivo di una macchina fotografica sono veri, talmente veri da sembrare finti.

Il carattere trasgressivo e provocatorio accompagna tutte le opere, l’impostazione delle immagini sembra essere quella tipica della ritrattistica dello star-system, ma l’accento è posto sulla diversità, si addentra nell’indagine delle paure inconsce, delle divisioni sociali e razziali. Ne emerge una collezione di figure che mantengono il consueto realismo, tipico di Serrano, anche nelle costruzioni più visionarie e accecate.

Immagini che affascinano e disgustano al tempo stesso, curate nei più piccoli dettagli tanto da farle diventare “eleganti” nella loro drammaticità e crudezza, su cui spesso interviene per renderle semplicemente più belle per chi poi le guarderà, lasciando lo spettatore affascinato proprio da ciò che di solito si rifugge, da quegli aspetti dell’esistenza che comunemente si preferisce negare.

E lei che rapporto ha con la morte?

“Ne ho rispetto e come tante persone provo paura e fascino. Quando ho deciso di fotografarla ero curioso di vederla da vicino. Ma non mi ci sono soffermato troppo. non sono una persona morbosa”.

Ha paura di morire?

“Come tutti in questo mondo. Chi non ne ha? L’unica cosa che spero è che la morte arrivi in tarda età, e nella maniera più dolce possibile”.

E se qualcuno fotografasse la sua morte?

“Se un giorno accadrà, non potendo dire la mia, spero solo che sia una bella foto!”.

Cosa spera ci sia dopo la morte?

“Semplicemente la vita”.

The Morgue (Infectious Pneumonia) – 1992

Stampa cibachrome, silicone, plexiglas Courtesy dell’artista e di Paua Cooper Gallery, New York










The Morgue (knifed To Deatg I) – 1992

Stampa cibachrome, silicone, plexiglas

Collezione Museo Extremeno e Iberamericano de Arte Conteporaneo, Badajoz