LUTTO

 


CIAO ERNESTO,
VECCHIO BRONTOLONE!

Che da alcuni mesi Ernesto Somensi non stesse bene lo sapevamo tutti, che da alcune settimane la situazione si fosse un po’ aggravata, solo alcuni di noi ne erano stati informati, che non fosse presente all’Assemblea Generale della FENIOF del 27 giugno, è stata una sorpresa (tragica sorpresa) per tutti e specialmente per me, tanto che nel vedere il suo cartellino segnaposti sul tavolo della presidenza, senza che lui ci fosse, mi ha fatto una strana impressione. L’ABBIAMO tolto subito sostituendolo con un altro nome, ed un’altra carica, forse non meno importanti ma senza dubbio meno significativi.

Alle riunioni ufficiali della FENIOF, Giunta, Comitato, Commissione di Tesoreria e Assemblea, della Federazione, non mi risulta che non sia mai mancato nei decenni in cui ha occupato cariche sociali (la prima nomina l’ebbe nel 1983), se non un paio di volte, in luglio, mese in cui era solito raggiungere l’isola d’Elba, per navigare sul suo gommone e grigliare
il pesce in campeggio.

Ma non voglio ricordare Ernesto nelle sue funzioni ufficiali e neppure come impresario, altri lo hanno già fatto e lo faranno ancora, senza dubbio meglio di me.

Io lo ricordo come persona, che ho sì conosciuto come Segretario in ambito federativo, ma soprattutto nel suo carattere e nelle sue passioni.

Il carattere?

Ebbene sì, era un “brontolone”, un simpatico, vecchio brontolone a cui non stava mai bene niente e lo diceva apertamente, in modo solare, senza creare disagi a chi si rivolgeva per esprimere la sua disapprovazione.

Anche alla Signora Laura, che ho rincontrato dopo tantissimi anni, a Senago, in occasione del funerale, ho espresso questo mio pensiero, ricevendo da essa, con un sorriso che spero abbia attenuato almeno per un attimo il suo dolore, la conferma: “Sì, era un brontolone, e fa bene a ricordarlo così.”

Non mi ricordo una volta – dico una volta soltanto -, che dopo aver pranzato al ristorante, abbia detto: “Ho mangiato proprio bene!”. Qualcosa andava sempre storto: le tagliatelle erano troppo cotte, la carne insipida, il salame non era del contadino… e così via.

Ma già! Solo i tortelli che facevano a casa sua erano irrepetibili; le bistecche le sapeva cuocere solo lui alla griglia, i veri salami erano quelli che aveva nella sua cantina (e per la verità erano eccezionali, come constatai di persona quando da Senago me ne portò uno).

Brontolava per la sede (troppo caldo, troppo freddo, sedie scomode…) per i lavori che si svolgevano (ci vuole più ordine nella discussione…; nella lettera di convocazione c’è un errore…; mi è arrivato tardi il documento…) per la disposizione dei posti, per l’albergo prenotato…, ma era un brontolare oltremodo corretto, quasi sempre incontestabile, espresso con un lieve sorriso ed a bassa voce e, come tale, sempre bene accetto in quanto, comunque costruttivo e mai trasformabile in un giudizio irreversibil.

Le passioni?

Di due cose parlava sempre volentieri: della… “Streghina” e della sua casa.

Quella che lui chiamava “Streghina” altro non era che la nipotina, che io ho visto di fatto crescere mese per mese, pur non avendola mai conosciuta di persona, perché lui mi raccontava tutto di lei. L’ho incontrata, purtroppo, solo alla fine, veramente una bambina fuori dal comune, in tutti i sensi (l’orgoglio che mostrava per lei, non era quindi solo quello del nonno), come splendido è anche l’altro nipotino che si è aggiunto alla famiglia solo recentemente (lo avrà soprannominato Streghino? Chi lo sa!)

Della sua seconda passione, la casa, quella che si era costruita a Senago e che riteneva bellissima e funzionale per la sua famiglia e la sua attività, ne andava tanto orgoglioso, da aver espresso innumerevoli volte il desiderio di ospitarvi una Riunione della FENIOF. Dopo averla vista, non posso che testimoniare come essa sia come lui la descriveva.

Così, ora, oltre al resto, c’è un altro rammarico in me, ma anche espresso da altri della FENIOF: quello di non aver mai organizzato, come voleva, una riunione a casa sua, nella sua tavernetta.

Un desiderio non realizzato, un invito inevaso per il quale non c’è più rimedio.