Al 
                      largo della costa sud-orientale della Spagna qualche mese 
                      fa sono stati trovati i resti del piroscafo Sirio, affondato 
                      cento anni or sono con il proprio carico di emigranti italiani 
                      che si dirigevano verso il Sud America alla ricerca di condizioni 
                      di vita migliori. Il benessere di oggi ci fa apparire strano 
                      che, solo cento anni fa, fossero gli italiani a fuggire 
                      da un Paese incapace di offrire loro adeguate risorse per 
                      vivere degnamente alla volta di altre nazioni idealizzate, 
                      talvolta a torto, quali luoghi ricchi di maggiori opportunità 
                      per se stessi e per le proprie famiglie. La Storia ci insegna 
                      che sono aspetti che, tristemente ed in modo ciclico, si 
                      ripetono in luoghi e in tempi diversi.
                    A 
                      differenza delle cosiddette carrette del mare 
                      con le quali ai giorni nostri decine di profughi tentano 
                      quotidianamente di approdare alle coste italiane, il piroscafo 
                      Sirio, di proprietà della Compagnia Generale di Navigazione 
                      Italiana, non era affatto una imbarcazione fatiscente, bensì 
                      un transatlantico di lusso, varato nel 1883 e successivamente 
                      adattato per venire incontro alle richieste degli emigranti. 
                      Costruito in Scozia, e orgoglio della marina mercantile 
                      italiana, il vapore poteva imbarcare 80 passeggeri in prima 
                      classe, 40 in seconda e 1.180 accalcati nei cameroni di 
                      terza classe.
                    La 
                      Sirio era un transatlantico molto noto allepoca. Ci 
                      aveva viaggiato anche Edmondo De Amicis, ricavandone alcuni 
                      spunti per il famoso libro Cuore. Dopo solo 
                      26 anni di servizio, alle 16,30 del 4 agosto 1906, la Sirio 
                      finì a tutta velocità contro una secca al 
                      largo di Capo Palos, arenandosi con la prua sollevata a 
                      20 metri dal mare e con la poppa sottacqua. Rimase 
                      in quelle condizioni per ben 17 giorni, per poi spezzarsi 
                      in due parti e colare definitivamente a picco.
                    A 
                      Capo Palos, praticamente di fronte allo specchio di mare 
                      teatro del naufragio della Sirio, oggi vi è un piccolo 
                      museo dedicato a quella tragedia. Sono esposti volantini 
                      dellepoca che pubblicizzavano anche le soste fuori 
                      programma, ideate non per consentire ai passeggeri di vedere 
                      caratteristici luoghi lungo la traversata, ma per permettere 
                      ai numerosi emigranti non in grado di raggiungere i principali 
                      porti dimbarco di essere caricati lungo il tragitto. 
                      Anche questo aspetto ci aiuta a comprendere come le comunicazioni 
                      e le strade di allora non fossero quelle di oggi, e come 
                      i viaggi potessero essere preclusi ai meno abbienti.
                    Con 
                      il senno di poi risulta chiaro che se la Sirio non avesse 
                      fatto quelle tappe fuori programma sarebbe passata ben al 
                      largo della fatale Bajo de Fuera (la Secca di Fuori che 
                      dal profondo del mare sale improvvisamente a meno di tre 
                      metri di profondità) e non avrebbe fatto naufragio. 
                      Al comando della imbarcazione vi era il Capitano Giuseppe 
                      Piccone, 68 anni, baffi allinsù come voleva 
                      la moda di allora, lo stereotipo del classico ufficiale 
                      vecchio stampo, forse anche un po troppo pieno di 
                      sé al punto di sottovalutare linvito alla prudenza 
                      suggeritogli dal terzo ufficiale che notò leccessiva 
                      vicinanza della nave rispetto alla costa. Limprudenza 
                      del Capitano che, dalla cabina nella quale stava riposando, 
                      ordinò di proseguire a tutta forza, fu purtroppo 
                      la principale causa del disastro.
                    A 
                      bordo cerano 1.300 passeggeri, quasi tutti emigranti 
                      diretti in Sud America, stipati a gruppi di trenta in stanzoni 
                      comuni, ma anche signori che viaggiavano in prima classe 
                      allinterno delle proprie cabine di lusso. I primi 
                      a morire furono proprio questi ultimi, essendo le cabine 
                      situate a poppa, insieme a quei poveri emigranti della terza 
                      classe che si godevano il sole dagosto sul ponte di 
                      prua. Limpatto tremendo con la secca li scagliò 
                      in mare facendoli affogare.
                    Seguirono 
                      momenti terribili nei quali la disperazione dilagò 
                      con conseguenze tragiche. Qualche passeggero di prima classe 
                      si suicidò sparandosi, mentre intere famiglie si 
                      gettarono in mare senza saper nuotare. Paradossalmente, 
                      mentre i preti di bordo davano lestrema unzione a 
                      chi si gettava in mare, alcuni marinai tentarono di fermare 
                      la folla impazzita per evitare che occupassero le piccole 
                      imbarcazioni di salvataggio sulle quali trovò posto 
                      invece il Capitano Piccone. A parte tale inqualificabile 
                      comportamento, risulta sconcertante che nessuno facesse 
                      alcunché per coordinare i soccorsi.
                    Nessun 
                      membro dellequipaggio si adoperò per organizzare 
                      lesodo, nessun ufficiale diede ordini di alcun tipo, 
                      tutti lasciarono che a bordo dilagasse la totale follia 
                      e che ognuno pensasse a se stesso senza considerare le conseguenze. 
                      Che furono davvero tragiche.
                    I 
                      registri dei Lloyds di Londra segnarono 292 morti, 
                      ma i cimiteri della costa contano più di cinquecento 
                      tombe italiane che recano la data del 4 agosto 1906. Dei 
                      1.300 passeggeri, a parte i pochi fortunati che riuscirono 
                      a trovare posto a bordo delle scialuppe di salvataggio non 
                      occupate dallequipaggio, più di cinquecento 
                      morirono affogati mentre gli altri riuscirono in qualche 
                      modo a raggiungere terra aggrappandosi a qualsiasi oggetto 
                      galleggiasse. Tra questi, i giornali dellepoca riportarono 
                      la notizia di un uomo che sopravvisse abbracciando la propria 
                      fi sarmonica. Molte centinaia di persone furono invece fortunatamente 
                      salvate da un contrabbandiere che, transitando nelle vicinanze 
                      della Sirio, notò la tragedia ed imbarcò sul 
                      proprio veliero i naufraghi. I corpi che si riuscirono a 
                      recuperare dal mare, furono deposti sulla spiaggia per i 
                      possibili riconoscimenti. La Domenica del Corriere pubblicò 
                      i nomi delle vittime che fu possibile identifi care grazie 
                      a parenti o ad amici sopravissuti, ma non avendo molti elementi 
                      li distinse in base alla professione: cuochi, dispensieri, 
                      panettieri, 
 .
                    Il 
                    ritrovamento dei resti del battello ha quindi riproposto alla 
                    memoria le centinaia di italiani che in un viaggio della 
                    speranza, reso brillantemente da Francesco De Gregori 
                    in una canzone dedicata alla tragedia, trovarono la morte 
                    per colpa di un capitano inadeguato, ucciso due mesi dopo 
                    dal rimorso, e di un equipaggio vile ed incapace.
                    
                    E da Genova
                    In 
                    Sirio partivano
                    Per 
                    lAmerica varcare
                    Varcare i confin
                    Ed 
                    a bordo
                    Cantar si sentivano
                    Tutti 
                    allegri
                    Del 
                    suo destin
                    Urtò 
                    il Sirio
                    Un 
                    orribile scoglio
                    Di 
                    tanta gente
                    La misera fin
                    Padri 
                    e madri
                    Bracciava i suoi figli
                    Che 
                    si sparivano
                    Tra 
                    le onde del mar
                    E fra loro
                    Un 
                    vescovo cera
                    Dando 
                    a tutti La sua benedizion
                    
                    (Francesco 
                    De Gregori)