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Una anomalia laziale

Grido di allarme dalla capitale per il gioco degli appalti negli ospedali. Il 90% dell’attività delle imprese reso asfittico da un sistema ritenuto illegittimo.

A qualche mese dalla amara delusione circa l’infruttuoso iter del ddl di riforma del settore funerario S3310, abbiamo incontrato una rappresentanza delle imprese romane per esaminare un annoso fenomeno e per trovarvi una possibile soluzione. La rappresentanza era guidata dal Cavalier Mario Menicucci de ”La Generale” di Roma, già Consigliere Nazionale Feniof, al quale abbiamo chiesto di argomentare l’attuale situazione locale, divenuta ormai insostenibile ed esasperante, sotto gli occhi di tutti (anche la rivista “Sanità Lazio” ha avviato una inchiesta al riguardo nei mesi scorsi), testimonianza di una singolare anomalia consentita dall’assenza di specifiche regolamentazioni nazionali e regionali.

Cosa sta accadendo nel Lazio, a Roma in particolare, e come è possibile che simili abusi vengano perpetrati a danno delle imprese?

“La situazione, pur nella sua complessità, è presto detta. La causa del contendere è rappresentata dalla stipula degli appalti fra aziende ospedaliere pubbliche ed imprenditori privati (da sottolineare che si tratta di circa un 10% delle imprese locali) per la gestione delle camere mortuarie. Le vincitrici dell’appalto pagano al nosocomio un canone mensile e si impegnano ad effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria (lavori incrementativi), nonché a seguire le procedure di gestione della salma un tempo assegnate a personale interno. In cambio ricevono praticamente il controllo della domanda all’interno della struttura. In sostanza oltre al trasporto del defunto nella camera mortuaria – praticamente l’unico compito di formale spettanza – di fatto si accaparrano tutti i servizi di onoranze. In altre parole, chi si occupa delle esequie del defunto non è liberamente scelto dai parenti, ma previamente selezionato attraverso apposito bando dalla struttura sanitaria che ha in carico il malato. L’azienda (o più spesso l’ATI, Associazione Temporanea d’Impresa) che se lo aggiudica è di fatto responsabile della gestione di tutti i decessi che si verificano all’interno della struttura”.

Feniof, d’altronde, ha sempre combattuto situazioni simili fornendo elementi giurisprudenziali necessari alle imprese per far fronte a convenzioni che ledono la libera concorrenza di mercato e che privano i cittadini della libertà di scegliere senza pressioni, anche psicologiche, l’impresa funebre alla quale affidare l’onoranza del proprio defunto.

“Il ruolo ricoperto da queste aziende all’interno delle strutture sanitarie consente loro di essere sempre il primo interlocutore di una famiglia che in quei momenti ha ovviamente poca lucidità e si trova in condizioni psicologiche particolarmente fragili. Ed è evidente che simili convenzioni generano utili sostanziosi, altrimenti non si spiegherebbe perché chi gestisce la camera mortuaria non si limiti a pagare l’affitto, ma sostenga anche i costi di mantenimento e di ristrutturazione. A queste aziende o ATI viene di fatto concessa la gestione dei funerali con annessi e connessi, dal disbrigo delle pratiche amministrative e della vendita della cassa fino al trasporto funebre. Insomma, un funerale completo dall’inizio alla fine”.

Sono situazioni illegittime dalle quali hanno origine evidenti problematiche.

“Il sistema escogitato dalle strutture ospedaliere pubbliche permette alle aziende che ottengono la gestione delle camere mortuarie di accaparrarsi il 90 % dei decessi. Se consideriamo che a Roma e nelle zone limitrofe esercitano circa 250 imprese funebri, anche se sarebbe più corretto chiamarle agenzie, comprenderemo che genere di battaglia si generi intorno al 10% dei decessi”.

Simili convenzioni e stati di fatto non sarebbero stati consentiti se la nuova Legge nazionale fosse stata approvata dal Senato.

“Abbiamo seguito con grande attenzione l’iter del ddl S3310. La normativa avrebbe definitivamente negato simili convenzioni, ma avrebbe anche sancito l’illegittimità delle privative sui trasporti funebri che numerosi TAR regionali hanno fatto dismettere e che nel Lazio invece risultano di fatto ancora in essere. Pensi solo a quale giro d’affari può essere creato dal Diritto fisso”.

Il Diritto Fisso non può più essere richiesto in quanto connesso alle privative sui trasporti funebri. Non essendo lecite queste ultime, non sono esigibili neppure i relativi diritti fissi.

“Vero! Grazie anche all’interessamento di Feniof ed ai pareri da essa espressi, si è potuto sancire che ciò corrisponde a verità. Ma il problema è che, oggi come oggi, Roma sembra il Far West. La stessa AMA, l’azienda pubblica romana che cura immondizie e cimiteri, partecipa a bandi e ad appalti sfruttando una evidente situazione di privilegio. Inoltre, in barba a qualsiasi sentenza che ha sancito l’illegittimità dei diritti fissi, AMA chiede una tassa fissa per ogni operazione funebre compiuta da imprese terze. In pratica l’impresa si trova a pagare un obolo ad una diretta concorrente. È una situazione non corretta e insostenibile”.

Esistono però elementi legali e giurisprudenziali per ostacolare simili comportamenti.

“Evidentemente. Viene anche da chiedersi perché il disegno di legge sia stato bloccato al fotofinish. Forse danneggiava interessi, forse portava concorrenza dove non è gradita; probabilmente avrebbe intaccato il sistema degli appalti che alleggerisce le strutture sanitarie dalla gestione in proprio del personale e ne allevia i relativi costi. Senza pensare, però, alle conseguenze per il mercato. L’articolo 1 del testo di legge parlava di pari opportunità tra gli operatori nella gestione dei servizi attinenti la materia funeraria, nonché di adeguata tutela e di corretta informazione della persona che si avvicina a questo tipo di servizi. E, guarda caso, nell’articolo 4, oltre a definire il trasporto di cadavere vietava che il servizio mortuario nelle strutture di ricovero e cura, nonché il servizio obitoriale, in tutto o in parte, potesse essere dato in gestione ad operatori pubblici o privati esercitanti l’attività funebre. Nel Lazio urge una legge regionale sulla linea di quella lombarda o dell’Emilia Romagna a salvaguardia delle imprese funebri che intendono dare un futuro concreto alle proprie aziende, impegnandosi a lavorare con cuore e con correttezza. Senza una legge di riforma non credo che la situazione possa cambiare in meglio”.

È la conferma che occorre una normativa aggiornata in materia di polizia mortuaria che salvaguardi la libera concorrenza di mercato e che definisca aspetti, caratteristiche e comportamenti univoci per gli operatori pubblici e privati. Nel rispetto dei dolenti ai quali deve essere garantita la libera scelta sull’impresa alla quale affidare il servizio funebre dei propri defunti senza imposizioni o pressioni di alcun tipo. È un desiderio di equità e di giustizia, condiviso da migliaia di operatori funerari e da tutte le famiglie italiane, che auspichiamo venga recepito con immediatezza dalla classe politica.