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A proposito della morte
A cura di Giovanni Primavesi

Un decesso è per una famiglia un momento difficile dell’esistenza. La perdita di un parente è percepita come uno strappo e suscita spesso molti problemi. Siamo smarriti e qualche volta disgustati davanti alla morte, soprattutto a quella che avviene dopo grandi sofferenze o che colpisce i giovani. Essa è considerata come ingiusta, quasi scandalosa. E allora, a volte, ci interroghiamo sul senso della nostra stessa vita e su Dio. È a questo punto che bisognerebbe pensare a organizzare il funerale!

Quasi seicentomila italiani muoiono ogni anno di morte naturale o violenta. Questa è la realtà, il fatto più inconfutabile che ci sia. Eppure niente è più difficile che circoscrivere la morte. Cos’è la morte? È esattamente la fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto? Abbiamo paura della morte, ma cos’è la paura? Comprendiamo l’inevitabilità della morte, e poiché non vogliamo morire, ne abbiamo paura. Ma non abbiamo mai saputo cosa sia la morte, non abbiamo fatto altro che proiettarne una idea, una opinione. Quindi abbiamo paura della nostra idea della morte. La morte, in effetti, non è quel niente o quasi-niente che nessuna pratica scientifica arriva a circoscrivere sul piano sia dei criteri che della definizione? D’altronde, più la conoscenza della morte progredisce scientificamente e meno ci riveliamo capaci di precisare quando e come essa arriva. Ma è su questo niente che si focalizzano tutte le angosce, che si mobilitano tutte le energie per respingerla, per mascherarla, per sopprimerla o per recuperarla. Ma è normale aver paura della morte? Certamente! L’angoscia della morte è umana. Siamo fatti per la vita e questo ineluttabile passaggio verso un aldilà non ha proprio alcunché di confortante.

La morte è quotidiana. Eppure essa sembra lontana, soprattutto se si è giovani. Sono gli altri che muoiono, diciamo per cercare di convincerci. Anche se siamo ben consapevoli, soprattutto con il passare degli anni, che la morte ci sta aspettando.

La morte è naturale. Nondimeno essa appare come una aggressione: viene vista o percepita come un incidente arbitrario e brutale che ci prende alla sprovvista. Quando la morte sopraggiunge non ci chiede il permesso, arriva e si prende la nostra vita, ci distrugge in un sol colpo. La morte è inumana, irrazionale, insensata come lo è la natura quando non può essere “addomesticata”.

La morte è indeterminabile. Alla certezza di morire si contrappone l’incertezza dell’evento. La morte mai prevista, sempre di troppo, aleatoria. “Voi non sapete né il giorno, né l’ora, né il luogo”, dice l’Evangelista.

Ed ecco che i progressi delle statistiche e delle tecniche mediche e la diffusione delle conoscenze biologiche ed epidemiologiche fanno sì che la morte si lasci scientificamente determinare, che si tratti di morte naturale, di incidente mortale o di suicidio.

La morte è universale. Tutto ciò che vive, tutto ciò che è, è destinato a perire o a sparire, banalizzando in qualche modo il morire. Ma essa è anche unica, perché una volta giunta l’ora nessuno prenderà il nostro posto e mai noi moriremo al posti di altri. In breve, la morte è fuori da ogni categoria, è inclassificabile. È l’avvenimento incompleto per eccellenza, unica nel suo genere.

Lo studio della morte ha un nome: Tanatologia.

Essa altro non è che l’analisi o piuttosto la decodificazione della totalità dei discorsi tenuti sulla morte; tanto è vero che, al limite, essa per noi non esiste se non attraverso le immagini che ci suggerisce e i linguaggi che abbiamo a proposito di essa. La Tanatologia non costituisce ancora una scienza specifica con un oggetto ben circoscritto da sviscerare con un metodo appropriato. La sua filosofia è completamente da inventare; nell’immediato, essa si accontenta di riunire in una prospettiva inter o pluri disciplinare tutto il sapere sulla morte.

Quest’ultima può essere violenta o naturale. Essa comunque è, in ogni caso, pratica. Purtroppo la morte è l’evento più probabile della vita. Sempre, anche quando essa arriva dopo una lunga malattia, la morte sorprende colui che sta per andarsene ed i suoi cari. Essa poi genera anche l’urgenza di fronte ad una doppia necessità ineludibile: l’irruzione degli affetti che ti prendono alla sprovvista e il muro di una legislazione, qualche volta fastidiosa, che paralizza. E nessuno può sfuggire a questo dedalo amministrativo.

Da ciò l’importanza di avere qualcuno al quale rivolgersi per avere informazioni in merito, anche perché le novità si succedono anche nel settore funerario. La cremazione diventa sempre più diffusa, i cimiteri si trasformano, tra poco potremo avere anche le case funerarie. In breve, la morte conosce un innegabile mutamento all’inizio del terzo millennio.

Perché il passaggio dalla vita al di là della morte - sempre traumatizzante sul piano affettivo e qualche volta difficile e complicato per certi aspetti della vita istituzionale e burocratica - possa effettuarsi lucidamente e con minor fatica, bisogna innanzitutto pensarci e soprattutto avere a propria disposizione qualcuno che ci possa informare e rassicurare in modo semplice, pratico, completo e umano.

È necessario dare a tutti coloro che l’eternità preoccupa e alle famiglie le informazioni pratiche e utili a superare meglio il penoso momento di un decesso, in modo da poter agire con efficacia e con conoscenza, malgrado le inevitabili ferite che ogni decesso provoca o le difficoltà delle formalità da espletare.

Tutto cambia e si evolve, e anche la concezione dell’operatore funerario è mutata. Non ci si occupa più e solo del trasporto e della sepoltura dei morti, ma in ugual misura delle preoccupazioni dei viventi più vicini al defunto. Da tempo le famiglie si rivolgono alle imprese funebri per l’organizzazione delle diverse cerimonie “liberandosi” così da tutte quelle operazioni formali e burocratiche.

Ma sarebbe bene che anche la mentalità del pubblico si adeguasse a queste evoluzioni utilizzando prima il bagaglio di esperienze e di conoscenze professionali dell’operatore funerario, per avere le “idee chiare” non tanto sulla morte – per la quale, purtroppo, nulla possiamo fare – ma sul come … organizzarsi. Se dobbiamo credere ad una inchiesta fatta in un Paese europeo all’inizio degli anni ‘90, è risultato che il 70% degli intervistati in età superiore ai 25 anni si preoccupa del proprio funerale.

Dunque, perché aspettare?

“La tragedia della morte è che essa trasforma la vita in destino”.