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CULTURA




Nell'interpretazione di Antonello da Messina, maestro del '400 italiano
LA MORTE DI CRISTO


Finalmente, dopo oltre mezzo secolo, lo scorso anno si è trovato il coraggio di riunire nuovamente, presso le scuderie del Quirinale, le opere di Antonello da Messina (1430ca - 1479) sparse in tutto il mondo, dando vita a quella che è stata definita la “mostra impossibile” proprio per la difficoltà di organizzare un evento che ha chiamato in causa un alto numero di musei italiani, europei e statunitensi.

Un’occasione unica, dunque, per conoscere e per ammirare uno dei maestri della pittura italiana della seconda metà del Quattrocento. Noto ritrattista, ma anche pittore di soggetti sacri per conto di una variegata committenza composta da nobili, prelati, commercianti e via dicendo, eseguì almeno due volte la rappresentazione di Cristo morto, soggetto noto come Pietà, ed una di queste tele è stata esposta a Roma. Sebbene il suo stato di conservazione non sia dei migliori questo dipinto, di proprietà del Museo Correr di Venezia, è un’opera sulla quale vale la pena di soffermarsi: vi si possono ritrovare, infatti, tutte le tappe del percorso del maestro messinese, oramai completamente padrone di un linguaggio pittorico maturo.

La scena rappresentata appare inserita in un contesto paesaggistico che stilisticamente ricorda la pittura fiamminga: da notare la cura minuziosa dei particolari, come le architetture sullo sfondo, la vegetazione e il sentiero di campagna che, curvando dolcemente, esce di scena. L’apporto di questa pittura, conosciuta a Palermo e Napoli prima ancora della rivoluzione prospettica di matrice toscana, divenne fondamentale nell’Italia centro-settentrionale a partire dalla fine del ‘400 fino a tutta l’epoca rinascimentale, e a Venezia fu introdotta proprio da Antonello da Messina che, nella città lagunare, soggiornò tra il 1475 e il 1476.

Tornando alla Pietà del Correr, è da osservare che la centralità nel dipinto della figura di Cristo e la sua monumentalità vengono sottolineate dall’utilizzo di un punto di vista prospettico piuttosto ravvicinato; questa scelta compositiva è frutto dell’incontro con l’opera di un altro dei più importanti maestri del Rinascimento italiano, Piero della Francesca, avvenuto intorno al 1473. Dal maestro di Urbino Antonello apprese l’utilizzo matematico della prospettiva ed il concetto della centralità dell’uomo, da cui deriva la passione per lo studio naturalistico dei soggetti rappresentati. Da quel momento i personaggi ritratti o raffigurati dal maestro siciliano acquisiscono una profonda umanità ed una indagine anatomica sorprendenti (come nella Crocifissione di Anversa), unitamente ad una espressività tale da suggerire la psicologia dei soggetti stessi (come nei vari ritratti e nella celebre Vergine Annunciata di Palermo).

Infine il colore: a cominciare dalla figura di Cristo, morto e già deposto dalla croce, sostenuto da tre elegantissimi angeli, sullo sfondo di un paesaggio dove natura e architettura si alternano in un equilibrio perfetto, tutto prende forma dal colore; ed è l’uso del colore alla maniera veneziana, l’ultimo insegnamento di cui Antonello da Messina fece tesoro, nei viaggi che lo portarono lontano dalla sua città dove tornò forse già nello stesso 1476 nonostante fosse stato invitato a Milano, alla corte di Gian Galeazzo Sforza, in qualità di pittore ufficiale.

E a Messina Antonello morì nel 1479, lasciando un’eredità artistica davvero notevole, ma dalla quale, in Sicilia, non nacque mai una vera scuola. L’eredità di questo maestro rimase infatti a Venezia, insieme a quella del contemporaneo Giovanni Bellini.


Daniela Argiropulos